“Il nocchiero” di Paola Capriolo (Feltrinelli)

Ma che bello. Ma che particolare. Ma che brava Paola Capriolo. Ecco, avevo messo tanti ma nel mio commento sul libro qua sotto, però erano dei veri avversativi (Chi dice ma, cuor contento non ha). Qui no. Qui è un po’ come quando si dice: Ma come ho mangiato bene! E devo dire che, col Nocchiero, ho mangiato benissimo. Una cena in un sala da pranzo dai soffitti altissimi, ricca di tendaggi damascati, velluti, colori cupi tra il bordeaux e l’oro antico, dipinti preziosi, magari di quelli dove antenati sconosciuti e un filino truci sembrano muovere gli occhi e seguire i movimenti degli ospiti, avete presente? Seduta a quel tavolo ho assaporato pietanze dalle ricette antiche, cucinate alla perfezione.

Paola Capriolo in questo romanzo ha uno stile antico, raffinato, che decora superbamente una piccola trama. Piccola, sì, eppure infinitamente vasta.

In un tempo immerso nel passato, un giovane uomo intravede, di una donna, solo un braccialetto d’argento a forma di serpente che le avvolge il braccio. Ne è attratto in modo irresistibile e profondo. Da quel momento si dipana una storia strana, cupa, che abita il confine labile tra realtà e sortilegio.

Non ho problemi ad ammettere che, il finale, non sono sicura di averlo capito, e per di più non sono nemmeno sicura che ci fosse qualcosa di preciso da capire. Nel senso che io ho percepito pensieri e sensazioni intensissimi. E sono stata soddisfatta così. Tant’è che il sapore che mi è rimasto, alla fine di questo strano romanzo, è così buono che mi porterà, domani, in libreria ad acquistare altri libri della Capriolo.

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